Non esiste letterato, poeta, pittore, artista in generale, che non abbia dedicato una o più opere al gatto.
In quest’opera grafica, definita oggi “arte digitale”, Giada Zammitti interpreta l’essenza della gattità, ossia lo spirito che ha sempre fatto del gatto una creatura metafisica, un’interfaccia tra questo e gli stati superiori dell’Essere, e un ponte vivente.
Il gatto è connotato da una purezza immacolata, una bellezza magica, occhi ipnotici, incedere maestoso e giocoso a un tempo; è potente, senza mai manifestare violenza; ma, soprattutto, in lui, e attraverso lui, si ha, nel tempo, un’emersione dell’eternità; giacché tutto il suo essere è un’istantaneità senza durata.
In questa magnifica opera di arte digitale, sovrasta e si impone un gigantesco gatto nero, i cui occhi vibrano di una densità ipnotica e ammaliante.
È la sintesi dell’ambiente che lo circonda, ne è il simbolo supremo. I tre imponenti alberi tra cui sta adagiato sembrano custodire la sua sacralità, sullo sfondo di una foresta immacolata, illuminata da una luce che fonde il fulgore delle albe e la quietezza dei tramonti.
La fanciulla di spalle, unica presenza umana cui è concessa la presenza in questo ultramondo, contempla con timore questa manifestazione del Sacro, appoggia le mani aperte a uno degli alberi, fungendo da portale tra l’umano e i mondi della pura maestà.
L’abito bianco ne suggerisce la purità interiore, condizione necessaria per il suo compito di “guardiana della Foresta Sacra”.
I bagliori della foresta sono punteggiati da luccichii vaganti, che sembrano danzare festosi attorno, al Re, alla pura Maestà di lui, il Gatto.
In sintesi, opera esteticamente magistrale, simbolicamente perfetta.